L'”Artusi”

Pellegrino Artusi, autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, nacque in Romagna, a Forlimpopoli, il 4 agosto 1820, da Teresa Giunchi e Agostino. Dopo gli studi al Seminario di Bertinoro, cominciò ad occuparsi degli affari paterni.

A seguito della famosa incursione del brigante Passatore a Forlimpopoli nel gennaio 1851 – incursione che non risparmiò la casa degli Artusi – la famiglia si trasferì a Firenze, dove Pellegrino, poco più che trentenne, si dedicò, con un certo successo, all’attività commerciale. Artusi continuò a vivere in Toscana dove morì nel 1911 a 91 anni, pur mantenendo sempre vivi i rapporti con la città natale.

È lo stesso Artusi a raccontare le peripezie iniziali della sua opera: dal severo giudizio del professor Trevisan che sentenziò “Questo è un libro che avrà poco esito” all’aneddoto dei Forlimpopolesi che, avendo vinto due copie del libro in una lotteria, andarono a venderle dal tabaccaio non sapendo che farsene.

Ma il successo alla fine arrivò e fu travolgente: in vent’anni Artusi stesso ne curò 15 edizioni; nel 1931 le edizioni erano giunte a quota 32 e l’”Artusi” (ormai veniva chiamato con il nome del suo autore) era uno dei libri più letti dagli italiani, insieme a “I promessi sposi” e “Pinocchio“.

Qui di seguito riportiamo il gustosissimo Prefazio dell’autore alla quattordicesima edizione.

Prefazio

La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.
Diffidate dei libri che trattano di quest’arte: sono la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio i francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri potrete attingere qualche nozione utile quando l’arte la conoscete.
Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo, basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, ché questa vi farà figurare.
Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero annaspar qualche cosa.
Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti e di signore, che mi onorano della loro amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare il presente volume, la cui materia, già preparata da lungo tempo, serviva per solo mio uso e consumo. Ve l’offro dunque da semplice dilettante qual sono, sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più volte questi piatti da me medesimo; se poi voi non vi riuscirete alla prima, non vi sgomentate; buona volontà ed insistenza vuol essere, e vi garantisco che giungerete a farli bene e potrete anche migliorarli, imperocché io non presumo di aver toccato l’apice della perfezione.
Ma, vedendo che si è giunti con questa alla quattordicesima edizione e alla tiratura di cinquantaduemila esemplari, mi giova credere che nella generalità a queste mie pietanze venga fatto buon viso e che pochi, per mia fortuna, mi abbiano mandato finora in quel paese per imbarazzo di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di nominare.
Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai, contro questa taccia poco onorevole, perché non sono né l’una né l’altra cosa. Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen.

A questo punto come resistere alla tentazione di aprire l'”Artusi” e mettersi alla prova?

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