L’eros gastronomico di Tullio Gregory

Tullio Gregory, scomparso a novant’anni nel 2019, è stato tra le personalità più significative della cultura italiana contemporanea. Storico della filosofia, si è dedicato in particolare la storia del naturalismo, del platonismo e dell’aristotelismo medioevali e rinascimentali, estendendo poi le sue ricerche ai temi centrali della cultura filosofica europea del Seicento. Professore all’Università La Sapienza di Roma, Gregory ha insegnato anche in Francia, all’École Pratique des Hautes Études e alla Sorbona, che gli ha conferito la laurea honoris causa. Ha fondato e diretto il Lessico Intellettuale Europeo, è stato Accademico dei Lincei e membro di varie accademie straniere. Direttore scientifico e ideatore di varie opere per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, è stato tra i fondatori del Festival della filosofia di Modena, per il quale creava i “menu filosofici”.

A due anni dalla sua morte esce, per le edizioni Laterza, L’eros gastronomico. Elogio dell’identitaria cucina tradizionale, contro l’anonima cucina creativa, una raccolta dei suoi scritti sull’arte e il piacere del cibo (a cura di Gianni Moriani), pubblicati essenzialmente su ”Il Sole 24 Ore” tra il 1995 e il 2019.

«A tavola si vive un processo di civiltà che è cultura ed è stato così a partire dal Simposio di Platone e dall’Ultima cena in poi. Fin dalla società primitive la manipolazione degli alimenti non risponde solo la bisogno nutrizionale, ma si colloca in un cosmo intellettuale e fantastico ove si incontrano uomini e dèi, sacro e profano, morti e viventi, caricando il cibo di valori che trascendono la sua natura materiale.» (Per una fenomenologia del gusto, Lectio magistralis, Parma 2009)

Come scrive Michele Ciliberto nelle pagine che concludono la raccolta, «per Gregory la cucina era un argomento ordinario nelle sue conversazioni. […] Ma se uno riducesse questa passione per la cucina a un fatto puramente gastronomico non capirebbe il complesso significato che essa ha avuto per Gregory, e la molteplicità di fili esistenziali, culturali, storici che sfociavano in essa. Per lui la cucina era una realtà concreta, solida, il contrario delle astrattezze, specie quelle dei filosofi; significava la terra da cui essa sorge. Ma era anche altro: una metafora di qualcosa di più profondo che coinvolgeva gli strati originari della sua personalità come uomo e come studioso.

[…] per Gregory la dimensione conviviale aveva a che fare direttamente con l’amicizia, ne era un effetto e un segno fondamentale. Non si pranzava o si cenava insieme solo per celebrare un cuoco o un piatto o un vino, ma anche per discorrere, confrontarsi, riconoscersi: come in uno specchio. Ecco: il reciproco riconoscimento, generato dall’amicizia, era uno degli elementi fondamentali della passione per la cucina di Tullio Gregory. Se l’amicizia è il sentimento principale che lega gli uomini fra di loro, la cucina è la via attraverso cui questo può manifestarsi e perciò va celebrata e praticata con gusto, con piacere. Essa scioglie l’uomo dalla solitudine e lo proietta in una dimensione più amabile e più ricca, la stessa che ci dona la cultura quando la pratichiamo con amore e in modo gratuito, senza aspettarci ricompense o riconoscimenti. Da questo punto di vista la cucina, come la cultura in generale, costituiva per Gregory un’esperienza di libertà».

Attraverso i racconti su alcuni alimenti, i consigli di lettura, le indicazioni di cottura e il decalogo del gastronomo, questo libro traccia il percorso della ‘civiltà del gusto’ e del piacere della tavola. Con l’obiettivo dichiarato di riconquistare quel patrimonio di tradizioni enogastronomiche che è parte integrante della nostra storia e recuperare la gioia del convito, momento fondamentale del vivere civile. Il libro offre una serie di testi di grande interesse e non risparmia una lettura critica delle ‘mode’ che caratterizzano oggi il rinnovato interesse per la cucina.

Come il racconto delle molte, troppe trasmissioni che oggi la televisione dedica alla cucina che Gregory propose il 28 gennaio 2019 dalle colonne de “Il Sole 24 Ore” gustosamente intitolato Derelitto chi strapazza il soffritto.

«La presenza di trasmissioni dedicate alla cucina nei programmi televisivi non è certo nuova, e ancor di recente è stata ricordata nel suo sviluppo da un documentario di Rai 3: il quale non poteva evitare, sia pure con cautela e per cenni, di mettere in evidenza, se non un peggioramento, un progressivo spostamento di interessi e il diverso rilievo di certe presenze. All’attiva partecipazione iniziale di personalità come Mario Soldati, poi Luigi Veronelli – uomini di cultura e di esperienza -, di attrici come Ave Ninchi e al preciso impegno sui temi delle tradizioni gastronomiche delle nostre regioni, si sono venute sostituendo, soprattutto dagli anni Duemila, rubriche ove prevalgono la messa in scena, i discorsi salottieri, le grida sportive, lasciando in secondo piano, quasi occasione o pretesto, la serietà e il rigore del lavoro ai fornelli, il gusto del ben cucinare e del buon mangiare come espressioni di grandi tradizioni culturali. Oggi sulle varie reti televisive le trasmissioni dedicate alla gastronomia (sempre più invadenti) seguono tre linee principali: gare fra ristoranti, fra cuochi rappresentanti delle varie regioni italiane, lezioni di cucina. Queste ultime hanno un carattere occasionale e il loro valore dipende dalla serietà degli interlocutori, a volte chef rigorosi come quello che ha insegnato, senza sbavature e «rivisitazioni», la preparazione della pasta con le sarde, altre volte fantasiosi cuochi domestici; le gare invece – collocate in orari di buon ascolto – rispondono a uno schema e a una regia ben definita come altri talk show. È in queste gare, le più seguite, che si manifesta di fatto un notevole disinteresse per la serietà della cucina, per il rigore di un lavoro di grande specializzazione che richiede tempo e impegno, conoscenza e rispetto di regole tradizionali. Prevale, in queste gare, la fretta e l’improvvisazione, anzi ne sono l’apologia, invece di insegnare – come premessa – il tempo che deve essere dedicato, per esempio, ai battuti e ai soffritti, alle salse e alle marinate.» (Derelitto chi strapazza il soffritto, “Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2019)

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