I dolci secondo Veronelli

“L’uomo aggiunge al suo pane –  duemillant’anni e più fa – il miele, la frutta (i fichi soprattutto), il latte. Lo fa più ricco e lo riserva alle civili e familiari «occasioni». Nasce così, dalla volontà e dal desiderio di rispetto, serenità e gioia, il dolce.

Il popolo d’Egitto offre agli dei-faraoni pani mielati a forma di serpente («sacro» tra gli animali). I Greci destinano vino, certo, ma anche pan’e miele, ai vincitori di gare. I Romani – ci garantisce Alfred Gottschalk, Histoire de 1 Alimentation et de la Gastronomie, Paris, 1948) – assegnano ai dolci, nei sacrifici religiosi, la prima parte. Se ne occupano anche gli artisti e i colti: un ignoto scultore illustra, 12 secoli prima di Cristo, in un bassorilievo tebano, la panetteria di Ramsete III ed aggiunge, ai pani, dolc’inconfondibili; Aristofane (450-385 a.C.) ne accenna in varie opere (vedi I Cavalieri: al bevitore più capace – ahinoi, nel senso della quantità – sono offerte focacce al miele); Crisippo, filosofo del III secolo, ante, dà una prima ricetta tra il croccant’ e il torrone (Columella e Plinio, quant’al miele addirittura fan polemica: il primo a sostenere migliore quello d’autunno, che l’altro trova, per la qualità «sfatta» dei fiori, pessimo).

Anche se da quei primi, mielati, scendono, dritti dritti, il pain d’épices di Francia, il pane dolce-nero dei tedeschi e da noi, appunto, il croccant’ e torrone, è con lo zucchero che si afferma, e conferma, l’arte del pasticciere. Abbiamo prove certe: gli Arabi portano in Sicilia la coltivazione della canna da zucchero (poi abbandonata), ma è Venezia, grande «faccendiera» di spezie, che lo impone ogni dove e ne rende stabili, con le leggi del 1150, le norme del commercio e del consumo; ottantun anni dopo Federico II, re sole primo, definisce – nelle Constitutiones regni utriusque Siciliae, Vienna, 1231 – «confectarii» coloro che, nelle loro preparazioni, usavano lo zucchero (attenzione: per usi sia di cucina sia di farmacia); nel 1300 Firenze crea la corporazione degli speziavi : cento, e non più (ne farà parte, guarda guarda, Dante Alighieri); nel 1432, Albrech II, conte, conferma, in Vienna, agli speziari (cibo = farmaco; ciò che passa per bocca non deve, quindi non può, non essere salutare) il diritto esclusivo di commerciare e lavorare lo zucchero.”

Inizia con questo straordinario excursus la Premessa di Luigi Veronelli a questo libro presente nella biblioteca di cucina di Rosy, un volume con 397 ricette dei dolci “che piacciono a me”, come spiega lo stesso Veronelli, raccolte e sperimentate con amorosa pazienza dalle sue tre figlie – Benedetta, Chiara e Lucia -, pubblicato da Rizzoli nel 1982.

Una vasta gamma di ricette: biscotti e pasticcini, crostate e torte, croccanti e caramellati, dolci al cucchiaio, dolci a base di frutta, gelati e semifreddi, gelatine e salse di frutta, dolci regionali e altro ancora. E Veronelli ci tranquillizza sulla loro fattibilità e sulla soddisfazione nel realizzarli.

“Quant’ai dolci – conclude nella Premessa – rifiuto stravaganze: sono il frutto di anni ed anni d’amoros’esperienz’e rispettano l’esigenze, tutt’affatto moderne: della semplicità, quasi sempre, e, sempre, della chiarezza. Se li eseguirai con minuzia ed esperto/a di qualc’artifizio […] ne avrai gioie neppure troppo sottili.”

Tutte le ricette sono disposte in ordine alfabetico, quasi come in una rubrica, con la pagina di apertura della singola lettera impreziosita da una grafica delicata nero e ruggine.

Purtroppo il libro non è più in commercio, anche se non è impossibile trovarne qualche copia usata in vendita su internet.

In ogni caso Cucina di gusto non mancherà di proporvi qualcuno degli ottimi dolci proposti da Veronelli in questa raccolta.

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